palazzo-madama“La conversione in legge del Decreto Dignità senza prestare attenzione alle preoccupazioni sulle modifiche ai contratti a tempo determinato, che ad alta voce si sono alzate per settimane da grandissima parte del mondo datoriale, ma in particolare da artigiani e piccole imprese, non può non lasciare dietro di sé una fortissima delusione.

Un Decreto che non costruisce strumenti nuovi e più efficaci per coniugare mercato, regole e diritti dei lavoratori, ma modifica in senso peggiorativo regole e strumenti ben funzionanti e efficienti come i contratti a tempo determinato.

Prima di dipingere l’Italia come un Paese in emergenza per la precarizzazione del lavoro, bisogna rendersi conto che la ripresa dell’occupazione in questi anni è stata possibile proprio grazie ad una legislazione adattiva che ha fatto incrociare le esigenze di chi domanda e di chi offre lavoro, consentendo a migliaia di lavoratori di uscire dal “nero”, da un precariato fatto di finte partite Iva, di finti soci di cooperative, e di poter disporre della protezione piena di un contratto collettivo con tutele, garanzie e diritti.

Guardiamo le cifre: da un’analisi comparata dell’occupazione in Italia e in Europa emerge che siamo esattamente nella media e non rappresentiamo nessuna eccezione. La quota di occupati con contratto a tempo determinato, pari al 12,1% è esattamente in linea con il dato dell’Unione Europea, e addirittura più bassa rispetto a quella media dell’area euro, 13,7%. La Francia è a quota 14,8%, l’Olanda è al 18,1%, il Portogallo al 19% e in Spagna quasi un lavoratore su quattro ha un impiego a tempo determinato (22,4%).

In Europa, però, nessuno si sognerebbe di pensare che un contratto a tempo determinato è un “contratto a bassa dignità” o “a dignità limitata” per il lavoratore rispetto al contratto a tempo indeterminato.

Avevamo chiesto, piuttosto, di fare una cosa semplice. Reintrodurre i voucher per tutte quelle micro e piccole imprese che ne hanno spesso bisogno per limitate esigenze di lavoro e di produzione. Non siamo stati ascoltati e il problema resta, e prima o poi occorrerà metterci mano per risolverlo”. Lo si legge in un comunicato della CNA.