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Ecco la relazione di Daniele Vaccarino, confermato alla presidenza della CNA per i prossimi quattro anni.

Benvenuti all’Assemblea della Cna. Benvenuti a bordo di questa nave scelta come scenografia per rappresentare plasticamente l’idea che abbiamo dell’Italia di oggi.

Un paese che  sta ritrovando la rotta della crescita e sta riprendendo a navigare in mari più calmi …

Ringrazio tutti per avere accettato l’invito a partecipare a questa nostra Assemblea elettiva, culmine di un percorso che ha visto tutta la CNA impegnata nello svolgimento delle assemblee territoriali, a cui hanno preso parte oltre 50 mila imprenditori …  E’ un percorso che ogni quattro anni ci dà la misura del grande livello di democrazia interna che caratterizza la nostra Confederazione e le dona sostanza e nuovi impulsi.

Ringrazio per la loro presenza la Presidente della Camera Laura Boldrini, che ha voluto portare il saluto del Parlamento, cardine istituzionale dell’Italia, i Ministri Valeria Fedeli e Giuliano Poletti.

Ringrazio le autorità presenti e saluto gli amici di Rete Imprese Italia.

Abbraccio voi, care amiche, cari amici che siete l’anima della Cna.

E’ sempre emozionante essere qui davanti a voi, ma lo è soprattutto oggi che si concludono questi  quattro anni in cui ho avuto il privilegio, l’onore, la responsabilità di essere il vostro Presidente.

Quattro anni intensi e entusiasmanti che ho vissuto come un lungo viaggio di esperienza e di conoscenza attraverso l’Italia e il mondo delle nostre imprese.

Un viaggio che mi ha dato modo di ascoltare storie, incrociare sguardi, stringere mani, vedere occhi brillare per nuovi progetti, creare amicizie, raccogliere confidenze, condividere il peso delle decisioni coraggiose, conoscere esperienze dolorose di imprese che si sono dovute arrendere.

Un viaggio che mi ha permesso di andare per luoghi che attraverso secoli di saper fare sono diventati avanguardia nel mondo; di scoprire come si può essere imprenditori anche dove tutto sconsiglierebbe di esserlo.

In ognuno di questi momenti, in ogni situazione, ho trovato voglia di rimboccarsi le maniche e fiducia nel futuro, un’operosità che mai indulge in lamentele, pessimismi o catastrofismi e si accompagna a quella concretezza, positività e lungimiranza che abbiamo tutti noi che facciamo impresa.

Non sono un inguaribile ottimista!

Conosco perfettamente i problemi, talvolta gravi, che affrontiamo e le condizioni scoraggianti in cui operiamo. E non voglio sottovalutarli.

Conosco le preoccupazioni che possono toglierci il sonno.  E non voglio tacerle.

Ma sento soffiare maggiormente il vento che muove le vele del dinamismo, che si tramuta in laboriosità e impegno, che spinge a produrre, a innovare, a investire, a consumare, a Nord come a Sud.

Nel paese trovo slancio, voglia di farcela. Trovo intelligenza e capacità. Trovo la determinazione che anima i cambiamenti di rotta.

E c’è, care amiche, cari amici, sollievo: l’Italia comincia finalmente a uscire dai vortici degli ultimi dieci anni.

Che sia così ce lo dicono i dati sull’andamento del PIL, gli indici di fiducia, i dati sull’export che guadagna quote di mercato, ce lo dice la maggiore vivacità della domanda interna e degli investimenti privati; la crescita dell’occupazione, le proiezioni economiche per il prossimo futuro.

E’ un risultato che ci siamo guadagnati con le unghie e con i denti; con il lavoro quotidiano delle nostre imprese. Facendoci anche carico dei sacrifici che anni di manovre correttive dei conti pubblici ci hanno imposto. Certo, ha giocato un ruolo positivo la politica monetaria espansiva della Banca Centrale Europea che ha permesso di tenere bassi i tassi di interesse e non ha esposto il nostro debito pubblico alle speculazioni del mercato.

Hanno contribuito anche le politiche di incentivazione fiscale adottate in questa legislatura e le aspettative riposte nelle riforme avviate per introdurre quelle discontinuità che il mondo delle imprese ritiene essenziali per modernizzare il paese, dare maggiore efficacia ed efficienze ai contesti in cui opera.

Insomma, se ci guardiamo intorno e confrontiamo quello che siamo con quello che eravamo negli anni scorsi, troviamo ragionevoli motivi per ritenere di essere entrati in una fase economica diversa.

So bene che non è percepibile in tutti i territori, in tutti i settori produttivi e in tutte le imprese allo stesso modo. Del resto, nessuno di noi sogna di pensare che la situazione in cui siamo sia ottimale ….  Sbaglieremmo se usassimo i risultati positivi come un anestetico per ignorare la variabilità degli effetti della congiuntura positiva. Oppure le persistenti vulnerabilità del paese – in primo luogo – il debito pubblico che rimane alto, il potenziale della crescita che rimane basso e i divari territoriali che rimangono uguali. O che il puntello offerto dagli incentivi fiscali e, soprattutto, dalla BCE è solo temporaneo.

Sbaglieremmo ancor più radicalmente se restringessimo il nostro campo visivo al solo ciclo economico. Non vedremmo che non stiamo passando solo da una fase congiunturale ad un’altra. Ma da un’epoca ad un’altra.  Non vedremmo che il mondo di dieci fa non esiste più e che questa nuova epoca è già iniziata.

E’ un’epoca in cui le logiche della globalizzazione e dell’interdipendenza sono diventate più estese e visibili e così i loro effetti dirompenti e contradditori.

Penso all’emergere di nazionalismi e protezionismi, che delineano scenari articolati e imprevedibili; alle incrinature che una crescita squilibrata e diseguale produce nella tenuta delle democrazie.

Penso alle sfide che, questioni complesse di dimensione internazionale, come quelle che riguardano la protezione ambientale e il clima, le migrazioni, il terrorismo, pongono ai modelli tradizionali e nazionali di sviluppo economico, sociale e culturale. Sfide che richiedono un  consolidamento politico dell’Unione europea che ne rinnovi i valori fondativi.

Siamo di fronte a una portentosa accelerazione nell’evoluzione tecnologica che ci sta proiettando verso un futuro che sino a qualche decennio fa avremmo chiamato pura fantascienza, ma che già oggi rimodella in maniera profonda la nostra vita, le nostre abitudini, i nostri comportamenti, il nostro modo di produrre e di consumare.

Quale posto possiamo occupare noi artigiani, noi piccole imprenditori in un’epoca così pervasa da sviluppi inattesi e imprevedibili? Qual è il nostro posto in questo futuro così pieno di “big data”, “intelligenza artificiale”, robotica, realtà aumentata, nanotecnologie?

Le poste in gioco per noi care amiche, cari amici sono alte.

E non possiamo non notare che le scelte politiche più importanti per il nostro mondo (le politiche industriali, le politiche fiscali e creditizie …) assomigliano a fotografie in cui il soggetto centrale non è perfettamente messo a  fuoco.

C’è una costante sottovalutazione del nostro ruolo. E dire che noi siamo il centro del sistema produttivo italiano.

Abbiamo accumulato grandi capacità e competenze straordinarie. Contribuiamo in gran parte a fare del paese la seconda potenza manifatturiera dell’Europa. Siamo determinanti non solo nei settori produttivi tradizionali, come spesso si crede; siamo protagoniste sui mercati esteri, contribuendo in misura sostanziale al successo del Made in Italy anche in paesi lontani e, a prima vista, difficili. Abbiamo costruito noi quel modello interconnesso di economia e società che costituisce un unicum nel mondo, in cui spesso il sapere e il saper fare viene trasferito con sapienza dai nostri pensionati ai giovani.

 

Un modello intriso di bellezza e qualità che in molte espressioni dell’artigianato merita davvero di essere riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’umanità!

Ci chiamano i piccoli! In realtà dovrebbero chiamarci i giganti! Perché tutti insieme siamo questo: un gigante! Mi viene in mente Gulliver che scampato alla tempesta si ritrova legato sulla spiaggia dai mille fili dei lillipuziani.

Fili, cari amici care amiche, che devono essere tagliati. Allentati. Modificati. Perché impigliano le nostre potenzialità di crescita.

Fili di ogni sorta e di ogni spessore.

Che cosa sono se non fili che ci impigliano i tempi della giustizia civile che continuano  a rimanere irragionevoli, rendono più incerte le nostre relazioni economiche e riducono l’esercizio dei nostri diritti?

Non sono forse fili i costi dell’energia che penalizzano le piccole imprese con bollette infarcite di componenti fiscali e parafiscali che favoriscono i settori con alti consumi energetici, in chiaro spregio del principio comunitario “chi inquina paga”?

Non sono forse fili la selva e i costi degli adempimenti burocratici che riescono sempre a sopravanzare le innovazioni e le semplificazioni via via introdotte e spesso ad annullarne gli effetti positivi? Non sono fili le tante  norme e i tanti adempimenti che ci sovraccaricano di oneri che pesano in misura inversamente proporzionale alla dimensione delle imprese? Fili che devono essere tagliati con una forte collaborazione di tutti i livelli istituzionali, coinvolgendo le  forze sociali; ma soprattutto dando efficienza all’apparato pubblico, favorendone la trasparenza, vero antidoto contro la corruzione.

Che cos’altro sono se non fili quegli orientamenti e quelle condotte, quelle norme e tendenze che di fatto rendono difficoltoso l’accesso delle piccole imprese agli appalti pubblici e creano un sistema adatto solo a chi ha la dimensione per superare soglie e requisiti di qualificazione molto alti? L’attuale sistema di aggiudicazione indebolisce la concorrenza e penalizza il mercato e le economie territoriali, senza che vi sia evidenza del risparmio nella spesa pubblica. L’ampia discrezionalità di cui dispongono oggi le stazioni appaltanti, dovrebbe essere invece utilizzata per dare reale attuazione alla suddivisione in lotti, al fine di consentire anche alle piccole imprese di competere in questo mercato.

Insidiosi sono anche fili che regolano la vita quotidiana delle nostre imprese.

Che dire del lavoro? Con il Ministro Poletti abbiamo una lunga consuetudine di amichevole confronto. Abbiamo apprezzato e condiviso molte sue scelte e senza le sue politiche, coerenti con i tempi incerti che abbiamo attraversato, le nostre imprese non avrebbero trasformato in nuova occupazione ogni piccola increspatura della domanda e non starei qui a dire con orgoglio che negli ultimi tre anni il nostro mondo – come rilevato dall’Osservatorio della Cna – ha realizzato una crescita occupazionale di quasi il 10%. Ma è proprio per questa consuetudine di confronto con il Ministro Poletti che credo mi  possa consentire di definire l’abolizione del voucher un errore madornale! Lo strumento che l’ha sostituito è complicato da utilizzare e rischia di produrre l’effetto opposto a quello voluto. Non è pensabile, caro Ministro, che le imprese non abbiano uno strumento semplice ed efficace per soddisfare le esigenze occasionali i fare fronte ai picchi di lavoro.

Ma più in generale l’impresa ha bisogno di grande elasticità per adattare i ritmi e tecniche del lavoro ai rapidi mutamenti che intervengono nella produzione dei beni e dei servizi.  Mi riferisco alla difficoltà di gestione dei tempi e degli orari di lavoro, alla rigidità delle mansioni contrattuali rispetto all’evoluzione delle competenze e dei ruoli …  Ci dia una mano, signor Ministro, anche con soluzioni di natura normativa, per  conciliare al meglio le esigenze delle imprese con le necessarie tutele da garantire ai lavoratori. Questo è il tema che ci terrà impegnati nei prossimi anni e che sarà al centro del nuovo sistema di contrattazione collettiva dell’artigianato e della piccola impresa, che di recente abbiamo contribuito a rinnovare con l’obiettivo di accrescere la produttività, l’occupazione e consentire una migliore e più efficiente dinamica retributiva anche attraverso la valorizzazione della bilateralità. Proprio per questo, riteniamo indifferibile l’obiettivo di misurare la rappresentatività delle organizzazioni datoriali e sindacali. Bisogna finirla con l’odioso fenomeno del dumping contrattuale creato da organizzazioni fantasma, rischioso per le imprese  e dannoso per lavoratori.

A proposito di fili che impigliano l’artigianato e le piccole imprese voglio soffermarmi sulla mancanza di competenze adeguate, essenziali in un’economia in cui la conoscenza occupa un posto rilevante e i tradizionali confini tra lavoro manuale e lavoro intellettuale diventano molto labili e emergono nuovi professioni al servizio delle imprese e dei cittadini.

Cara Ministra Fedeli ci servono scuole superiori e istituti tecnici e professionali che preparino gli studenti ad entrare nelle nostre imprese che peraltro offrono innumerevoli opportunità di crescita professionale e sociale.

Ci servono anche processi di inserimento dei laureati nei nostri contesti lavorativi. Allarghiamo, dunque, l’orizzonte cognitivo del mondo accademico che rimane inchiodato sulla grande industria e ci relega a un ruolo residuale senza una vera dignità conoscitiva! Facciamolo conoscere questo nostro mondo e le potenzialità che offre: agli ingegneri, agli informatici,  … Aiutiamo, i giovani a comprenderlo e le imprese, ad assumerli!

Le sfide del XXI secolo non si vincono facendo affidamento solo sull’esperienza accumulata dai nostri lavoratori. Servono nuovi innesti, nuove energie. Servono i giovani!

Iniziamo già dalle scuole secondarie a stimolare gli studenti a conoscere il mondo delle piccole imprese, a informarli delle possibilità occupazionali che offrono.  Proprio per questo abbiamo aderito con convinzione alla sollecitazione della Ministra Fedeli a sottoscrivere un Protocollo per promuovere  e favorire  lo svolgimento dell’alternanza scuola lavoro nelle piccole imprese. Vogliamo aiutarle a prendersi carico dei ragazzi e delle ragazze, semplificando i meccanismi e la burocrazia, definendo in modo certo gli obblighi assicurativi e le responsabilità. Dobbiamo sostenere ulteriormente l’imprenditoria femminile che, peraltro, in questi difficili anni ha avuto una crescita impetuosa segno di grande determinazione, adattabilità e creatività!!!

Ma prima di ogni cosa, aiutiamo le imprese stesse ad aggiornarsi …. Perché non estendere, cara Ministra, la misura del credito d’imposta alla qualificazione dei lavoratori, anche agli imprenditori che nelle piccole imprese e nell’artigianato lavorano gomito a gomito con i loro dipendenti?

Care amiche, cari amici, i fili  possono anche diventare veri e propri catene.

Cos’è se non una catena un nostro total tax rate è al 62%!. 20 punti più alto della media europea. Un vero abisso da cui non si riesce a risalire. Possiamo mai andare avanti così?

Anno dopo anno speriamo che la soluzione venga dalla legge di bilancio benché consapevoli della difficolta dei Governi, specialmente in prossimità di elezioni, di conciliare il rispetto dei saldi di bilancio con gli obiettivi di crescita.

Sappiamo che il disegno di legge per il 2018 predisposto dal Governo, infatti se da un lato disinnesca lodevolmente il previsto aumento dell’IVA, dall’altro sfila alle imprese 2 miliardi di beneficio dell’IRI, la cui entrata in vigore viene rinviata all’anno prossimo. Di contro concede la conferma delle agevolazioni sugli investimenti, la proroga degli ecobonus e la riduzione di contributi sull’occupazione dei giovani.

La riduzione dal 65 al 50 % per alcuni interventi di risparmio energetico è una scelta sbagliata che rischia di rallentare quei processi di investimento alla base dell’espansione della domanda interna.

Comunque, nel complesso, gli aspetti positivi prevalgono su quelli negativi benché al momento manchino interventi che ci stanno molto a cuore. Cito per tutti la deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali che continuano a essere considerati come seconde case; l’eliminazione dell’IRAP per le imprese più piccole; la norma che consente il riporto delle perdite nel regime di cassa.

Su questi temi ci aspettiamo che il Parlamento introduca i necessari correttivi.

Permettetemi di soffermarmi su un punto apparentemente tecnico ma dirimente per il nostro futuro. Mi riferisco all’obbligo della fatturazione elettronica nelle operazioni tra i privati che entrerà in vigore dal 2019. Ormai la strada sembra tracciata, il futuro sarà fatto da fatture elettroniche e pagamenti elettronici. Occorre quindi rendere questi due strumenti poco costosi e semplici da gestire. Occorre nel contempo, eliminare completamente tutti gli obblighi di comunicazione dei dati all’Agenzia delle Entrate finalizzati ai controlli, nonché i regimi particolari di riscossione dell’IVA quali lo “split payment” o “reverse charge”, la ritenuta dell’8% sui bonifici relativi a spese connesse a detrazioni fiscali e, finalmente, tutte le limitazioni all’esercizio della compensazione tra tributi. Così si potrà aprire una fase nuova dei rapporti tra contribuenti e fisco, improntati a maggiore correttezza e rispetto reciproco.

Una fase nuova è anche essenziale nel rapporto tra banche e imprese

Dal 2011 ad oggi, il credito bancario alle imprese è diminuito del 20%.

Solo negli ultimi 15 mesi è tornato a crescere ma non per le piccole imprese per le quali il credito è sempre di meno e più selettivo.

Eppure le sofferenze sono in calo e le banche italiane dispongono di liquidità abbondante e ottenuta a basso costo, che dovrebbe essere reimmesso nell’economia reale.

Ma le banche continuano ad essere  sorde alle esigenze finanziarie del nostro mondo produttivo già fortemente condizionate da tempi di pagamento ancora troppo lunghi.

Non è pensabile una ripresa senza credito! Che fare allora per rigenerare la convenienza delle banche a investire nelle piccole imprese?

Intanto troviamo subito un modo per contrastare quelle regole europee sulla vigilanza bancaria, illogiche nella loro indifferenza alla dimensione dei crediti concessi, che portano a privilegiare gli impieghi meno rischiosi e più garantiti.

Ma dobbiamo pretendere dalle banche un cambio di passo perché tornino immettere credito nel sistema economico, condizione indispensabile per sostenere la crescita.

Cari amici, care amiche, Sarebbero ancora tanti i punti  che vorrei toccare ma mi fermo qui forte di una certezza che prevale su ogni difficoltà, ogni contraddizione, ogni rischio. Su ogni cosa che vorremmo diversa da come è.  Non possiamo pensare, come talvolta si è fatto nella storia, che la nostra nave possa andare avanti da sola, indipendentemente da quello che noi tutti facciamo.

Lo sviluppo che vogliamo è un impegno di lungo termine ed è frutto di volontà individuali e di volontà comuni. Di capacità, coraggio e lungimiranza  individuale e  collettiva. Di bussole che non ti fanno navigare a vista.

Non è forse di questa capacità straordinaria che parla il successo del  Made in Italy nel mondo?  Di quella capacità che ti consente di fissare uno standard a cui tutti guardano.

Questo già vale in tutto il mondo nella moda, nell’alimentare, nei prodotti di lusso e di nicchia, nell’arredo, nella meccanica.

Deve potere valere per tutti i nostri prodotti e per tutti i nostri servizi!  Deve potere valere per i modo in cui organizziamo i servizi turistici,  per il modo in cui tuteliamo i nostri beni culturali e paesaggistici …  per la cura che riserviamo alle nostre città.  Per le difese che approntiamo per il nostro prezioso territorio. Per la lotta che facciamo a corruzione e illegalità. Deve poter valere per i servizi pubblici che offriamo.  Per la nostra scuola e  le nostre Università.

Solo così la rotta che abbiamo trovato può diventare quella giusta per andare lontano. Perché è la rotta che accresce la credibilità dell’Italia. Che attrae investimenti, consumi e occupazione. Che alimenta la fiducia degli imprenditori, rimette in moto idee e rende realizzabili i progetti. Che dà la forza di cambiare le cose che non vanno e la capacità di creare consenso e condivisione attorno alle novità.

E’ una rotta che richiede alla politica minore rissosità, personalismi e protagonismi. E’ una rotta che va guidata da governi forti, stabili e coesi, in grado di prendere le decisioni che servono a dare fiducia ai mercati e dare all’Italia l’autorevolezza che merita nell’Europa e nel mondo.

Naturalmente mantenere la rotta giusta non è solo la responsabilità della politica e delle istituzioni  ma di tutta la classe dirigente del paese che deve essere animata dal comune impegno a dare alla nostra Italia e ai nostri figli un futuro all’altezza della sua storia . Noi ci crediamo e vogliamo essere  ancora un fattore propulsivo dell’economia e dello sviluppo sociale. E’ per avere più forza, autorevolezza che abbiamo intrapreso un impegnativo percorso di cambiamento della nostra organizzazione per diventare un Sistema più omogeneo e coeso, sempre più vicino alle imprese e sempre più protagonista nelle trasformazioni del Paese.