Non esiste un “grande nemico” a Bruxelles. Le piccole imprese, il “grande nemico” lo hanno in casa, in Italia. Più percepiscono negativamente il potere nazionale, e soprattutto locale, più sperano nell’Europa. E considerano l’euro ormai indispensabile. E’ il risultato del sondaggio curato da Ipsos Public Affairs per conto della CNA nazionale su “Che cosa pensano dell’Europa e dell’euro le piccole imprese del nostro Paese alla vigilia del semestre europeo di presidenza italiana”. “Risultato giudicato sorprendente dallo stesso Istituto, perché sicuramente demolisce molti luoghi comuni. In realtà, rivela la maturità del nostro sistema imprenditoriale e l’accresciuta consapevolezza del valore della costruzione di un’Europa forte”, osserva Luigia Melaragni, segretaria della CNA di Viterbo e Civitavecchia.

Cosa emerge dal sondaggio? Ecco la sintesi di Ipsos.

L’Europa non è il male assoluto.

Nonostante anni di crescita lenta o di decrescita, solo poco più della metà degli imprenditori interpellati guarda negativamente alla Ue. E il giudizio positivo cresce insieme alla dimensione dell’impresa, fino a superare il 50 per cento dei consensi nelle aziende di media dimensione. Anche nel settore dei servizi e nel Centro-Sud, l’Europa raccoglie oltre la metà dei giudizi favorevoli.

Il Sud punta sull’Europa per uscire dalla crisi.

Probabilmente perché pensa che l’Italia (e il Mezzogiorno in particolare) non possa uscire dalle sabbie mobili in cui si trova attualmente senza un robusto sostegno esterno.

La crisi non è nata a Bruxelles.

A prescindere dal giudizio sull’Ue e sull’euro, solo il 6 per cento dei piccoli imprenditori addebita all’Europa la crisi che stiamo attraversando. Il 21 ritiene che la responsabilità vada divisa tra Ue e Italia. Il 29 accusa la crisi economica ciclica mondiale, che ha molteplici cause. E il 42 se la prende con l’Italia, il suo malgoverno e le mancate riforme.

Chi deve assumersi la responsabilità di adottare le scelte strategiche capaci di riportare l’Europa sulla strada della crescita?

La platea è, ancora una volta, divisa. il 54 per cento (il 64 del Nord-Ovest) preferirebbe affidarsi a una guida nazionale, il 46 (il 52 del Centro-Sud) guarda con maggiore fiducia all’Ue.

L’euro ormai è indispensabile.

La promozione dell’euro non lascia dubbi. Il 57 per cento dei piccoli imprenditori valuta positivamente la moneta unica: semplifica e garantisce gli scambi, è accettata dappertutto. Anche una parte consistente di chi la vive in maniera negativa non vorrebbe abbandonarla.

“Meglio uscire dall’euro”, lo afferma solo il 27 per cento del campione, grazie soprattutto a quel 18 per cento che ha nostalgia delle svalutazioni competitive della lira. Ma i rischi delle svalutazioni sono temuti dalla stragrande maggioranza (73 per cento) dei piccoli imprenditori. E si chiamano: crescita dei tassi d’interesse, aumento dei prezzi delle materie prime, incremento del costo dell’energia.

Le imprese con più addetti e le imprese del Nord-Est sentono maggiormente (62 per cento) i benefici dell’euro.

Più comprano dall’estero materie prime ed esportano prodotti finiti, più ne apprezzano la stabilità.

L’agenda del semestre italiano di presidenza.

Le richieste delle piccole imprese sono facilmente sintetizzabili: eliminare tutto quello che distorce la concorrenza fra i sistemi e fra le imprese. E, di conseguenza, si chiedono prima di tutto interventi per ridurre la pressione fiscale, sburocratizzare la macchina pubblica, facilitare il credito alle imprese, una richiesta che tocca il 52 per cento nel Centro-Sud. Un pacchetto che permetta di avvicinare l’Europa, quanto più possibile, alle esigenze delle piccole imprese.

Al futuro si guarda con ottimismo.

A cinque anni, l’orizzonte si colora di rosa. Il 59 per cento dei piccoli imprenditori ritiene che l’Ue vada nella direzione giusta, con punte tra le imprese maggiori (65 per cento), nei settori dell’industria e delle costruzioni (63) e al Centro-Sud (67).

Ora però serve un Mr Europa.

Cioè una forte e riconoscibile guida politica, così come esiste un Mr euro, incarnato da Mario Draghi, il presidente della Banca centrale che riesce ad arginare e a combattere le tempeste finanziarie e monetarie.

E’ necessario un vero governo unico, non ostaggio di appetiti e paure dei diversi Paesi.

Un governo che possa ridurre e armonizzare i carichi fiscali, prosciugare la burocrazia, allentare la morsa del credito, creare un effettivo mercato unico del lavoro.

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